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"Io non ce la faccio più"

  • Immagine del redattore: Martina Denegri
    Martina Denegri
  • 12 dic 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 19 gen 2021


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“Non ce la faccio più”, “sono un fallito”, “non valgo nulla”, “nessuno mi vuole”. Quante volte ci siamo ritrovati ad avere pensieri di questo tipo?

Questi sono alcuni esempi di ciò che talvolta la nostra mente ci porta a pensare. Sono pensieri intrusivi, che irrompono nel corso della giornata durante le attività che stiamo (o che non stiamo) svolgendo. La nostra mente è meravigliosa, ci permette di viaggiare, immaginare, ipotizzare, valutare, sopravvivere ed essere efficaci nelle attività quotidiane... ma a volte può instaurarsi un circolo contrario a causa del quale restiamo immobilizzati nelle azioni, nel non riuscire o poter agire per fare o cambiare qualcosa. Ma quanto di vero c’è? Ciò avviene perché i nostri pensieri diventano le nostre “etichette”, i nostri occhiali con i quali osserviamo il mondo e li giudichiamo la realtà. I nostri pensieri sono solo pensieri e per quanto possano spaventarci, ansiarci, o immobilizzarci sono loro che stanno avendo questo effetto su di noi, non il mondo esterno. Ci fondiamo con essi e vediamo tutto di quel colore. Questo processo viene chiamato Fusione Cognitiva, ovvero ciò che pensiamo diventa la realtà oggettiva, siamo totalmente adesi alle nostre credenze.

Questo e la sua controparte, la Defusione Cognitiva, sono uno degli aspetti sui quali pone l’attenzione l'ACT (Acceptance and Commitment Therapy, Hayes et al. 1999), una terapia facente parte delle terapie Cognitivo-Comportamentali che ha solide basi scientifiche. L’ACT promuove uno spostamento della propria esperienza personale e della relazione tra se stessi ed i propri pensieri al fine di ampliare la flessibilità psicologica ed i propri gradi di libertà delle reazioni comportamentali ed emotive.

Prendiamo ad esempio la credenza “io non ce la faccio più” ed aggiungiamo “sto pensando che...”: questa formula ci permette già di per sé di avere un cambio di prospettiva nella quale io, osservatore esterno, posso notare che quel pensiero mi sta attraversando.

Spesso infatti le strategie che mettiamo in atto causano sofferenza emotiva. Questa terapia, integrata in una relazione psicoterapeutica, permette di prendere le distanze dai propri pensieri accettandoli e rendendoci consapevoli che “Io non sono il mio pensiero”. Ciò, assieme agli altri pilastri dell'ACT ed inserito nel percorso di psicoterapia, permette di acquisire consapevolezza ed agentività nel presente, disincastrandoci da quei pensieri ai quali tanto ci eravamo “affezionati” e che come una lampada illuminavano la nostra scrivania, ma che ci oscuravano tutto il resto della stanza che avevamo attorno a noi.

In sintesi? Creare pensieri è il lavoro della nostra mente. Sta a noi diventarne osservatori consapevoli liberandoci dalle gabbie che a volte ci può creare.



  • Hayes, S.C., Strosahl, K.D.& Wilson, K.G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy: An Experiential Approach to BehaviorChange. Guildord Press: New York.

 
 
 

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