Quanta creatività può esistere in noi?
- Martina Denegri
- 23 ott 2020
- Tempo di lettura: 5 min

Stiamo vivendo giorni sospesi, dove nuovi timori si intrecciano con vecchie paure e chi fa lo psicologo o psicoterapeuta si trova, anche, di fronte a domande inedite.
Come mai mi sento sempre così stanco, dottoressa? Perché mi vengono continuamente in mente i miei cari, mancati quando ero piccolo? Come mai ancora a 70 anni mi dà conforto sognare mia nonna?
Queste sono alcune delle domande che il Signor Giuseppe (nome di fantasia, per rispetto della Privacy, così come quelli che seguiranno) mi pone non appena risponde al telefono per avere il primo colloquio con il servizio di Sipem SoS Lombardia.
Cosa rispondere al signor Giuseppe che si trova in un letto di ospedale con un solo polmone a causa di un tumore ed in isolamento per Covid-19?
Come potergli stare accanto nei 10 minuti di dialogo che gli sono possibili senza portare l’ossigeno?
Come la scienza evoluzionistica ci insegna, noi esseri umani siamo animali sociali. Il nostro mandato è fare attaccamento. Cosa significa? Significa che ci nutriamo delle, e sopravviviamo grazie alle, relazioni sociali. Come fare dunque in un momento di emergenza in cui è proprio la vicinanza alle persone a metterci a rischio?
Il periodo storico che stiamo vivendo è unico nel suo genere, non per splendore, ma per peculiarità. Nessuno mai avrebbe immaginato uno scenario tale. Servizi dell’emergenza compresi. Ci troviamo di fronte ad una situazione nuova, e come ogni situazione nuova essa spaventa. Ecco quindi che gli addetti ai lavori si trovano di fronte alla sfida di una rivisitazione dei propri metodi di intervento. A conferma del fatto che una normalità e una prevedibilità non esistono. Fa paura? Può darsi, gli esseri umani hanno bisogno del controllo come dell’aria, ed ecco che al frustrante dato di realtà che il futuro è imprevedibile ed incontrollabile emerge il terrore.
Ma cosa succederebbe se provassimo a guardare l’altro lato della nostra medaglia? Sapere che non possiamo controllare ci può spaventare, ma non può anche crearci sollievo dall’enorme senso di responsabilità e frustrazione che alla mancanza di aspettativa può generarsi?
Il fatto che non esista una normalità e che da un punto di crisi non si possa per definizione tornare allo stato precedente può terrorizzarci, ma può anche rappresentare ciò che filogeneticamente ci ha portato qui: un continuo adattamento all’ambiente circostante, perturbazioni alle quali dobbiamo rispondere e grazie alle quali possiamo allargare i nostri gradi di libertà. Quanta creatività può esistere in noi?
La splendida notizia è che la creatività soggettiva è una fonte infinita e mai pre-determinata e statica.
Ecco quindi che il signor Giuseppe trova commozione nel ricordarsi che nei suoi momenti di vulnerabilità da bambino era la nonna ad occuparsi di lui e come sentire oggi il calore di allora sia una fonte di conforto come niente altro al mondo possa dare.
Eh già, l’attaccamento ci accompagna dalla culla alla tomba. Non importa se abbiamo 4 anni o 87, nei momenti di percepita vulnerabilità ciò che si attiverà in noi sarà il bisogno di una base sicura, quella base che più o meno adeguatamente ci ha fornito protezione nella nostra storia di vita più o meno recente.
Il lavoro con lui è stato quello di condividere come in una situazione di tale difficoltà e dolore sia “normale” provare tristezza e che la mente, per sua proprietà, riattivi dei ricordi coerenti, complementari e/o simmetrici, con il vissuto emotivo che si sta provando.
Da un progetto di volontariato nato con 5 psicologhe, oggi siamo un gruppo di 200 professionisti con 972 richieste di aiuto ricevute. Tante sono le persone che si sono concesse di poter chiedere aiuto rispetto ad una loro sofferenza.
Ma qual è la variabile comune a tutte queste situazioni? Qual è l’elemento che ritroviamo in ogni essere umano che sta vivendo oggi questa situazione?
Sono le emozioni. Ed ancora una volta esse sono tanto varie quante sono le persone che le stanno provando. Fantastico vero?
Piacevoli o dolorose che siano esse servono tutte, ma diventano disfunzionali quando non ci permettono più di condurre la stessa vita o ne peggiorano la qualità.
Nella situazione in cui ci troviamo come si può pensare di non provare tristezza per non poter abbracciare il proprio fidanzato come la giovane donna Anna, o paura di contrarre il virus e passarlo al proprio figlioletto come l’infermiera Carmen, o dolore per aver perso la moglie pochi giorni dopo aver festeggiato i 50 anni di matrimonio, senza poterla neanche salutare, come il signor Paolo?
Paura, rabbia, tristezza, colpa, sono tutte emozioni salva-vita che non possono essere eliminate. Ecco quindi l’intervento di accoglienza di queste emozioni, di legittimazione delle stesse e di normalizzazione.
Non esistono, dunque, emozioni “negative” e “positive” di per sé, sono tutte funzionali. Il nostro intervento è volto ad individuarle ed aiutare le persone a regolarne l’intensità che può provocare loro malesseri.
Già dal 3 marzo 2020 la Sipem SoS Lombardia, diretta dalla Dott.ssa Roberta Brivio, si è attivata per intervenire rispetto all’emergenza lombarda, mutando radicalmente la tipologia di interventi a causa dall’impossibilità di vicinanza fisica. È stato dunque creato un supporto psicologico telefonico attraverso il progetto ProntoPsy Sipem SoS Lombardia, ad oggi esteso in tutta Italia grazie all’adesione di psicologi, psicoterapeuti e psichiatri volontari mossi dalla consapevolezza che moltissime saranno le persone traumatizzate da questa maxi-emergenza.
Tuttavia è importante ricordare che quello che stiamo attraversando è un evento “solo” potenzialmente traumatizzante. Questo poiché il trauma non è un fattore esterno, bensì una costruzione interna di significati rispetto a quello che sta accadendo all’esterno ed al quale non si riesce a dare un significato coerente con il sé. È questo il motivo per cui non tutte le persone che subiscono uno stesso evento avranno le stesse conseguenze.
A tal fine è importante legittimarsi la possibilità di stare male e chiedere aiuto. L’intervento fatto attraverso i colloqui telefonici è nella sua essenza quello di accogliere e validare le emozioni che le persone portano avendo in mente quello che la vicedirettrice della Sipem, la Dott.ssa Patrizia Pasci, ci ricorda durante le nostre intervisioni e supervisioni quotidiane serali: “È normale in un momento anormale stare male”.
Le emozioni non sono mostri da scacciare od ignorare, vanno prima di tutto sentite, passo non scontato né banale, riconosciute, ascoltate ed accettate. Le persone possono essere più o meno competenti in ognuno di questi aspetti. Ciò che facciamo noi professionisti del servizio è accogliere le domande che ci vengono poste e trovare le emozioni che stanno dietro alla richiesta della persona. Solo così l’emozione può avere il suo naturale ciclo e mantenersi all’interno di quella finestra di tolleranza che permette alla persona di regolarla.
La buona e cattiva notizia è che non esiste un protocollo unico per la gestione e normalizzazione delle emozioni, ma si varia da caso a caso, da vissuto soggettivo a vissuto soggettivo. Quel che è certo è che per favorire una loro elaborazione è necessaria la relazione. Ed è ciò che facciamo con il servizio di ascolto.
D’altronde è questo che ci hanno insegnato: il meglio con quello che si ha. E questo stiamo provando a fare.
Martina Denegri
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